MtGox era l’exchange giapponese che era arrivato a coprire quasi i tre quarti del mercato di criptovalute. Poi cinque anni fa è stato costretto a sospendere le attiivtà dopo un presutno furto di bitcoin per 450 milioni di dollari. Per molti versi simile è il caso di Bitgrail, la piattaforma di scambio per criptovalute che un anno fa era l’unico exchange italiano, dopo aver denunciato l’ammanco di 150 milioni di dollari in Nano.
Il Nano era la criptovaluta utilizzata dalla piattaforma per la gestione dei fondi che non potevano essere convertiti in valuta legale se non passando attraverso questa valuta. Secondo la consulenza tecnica chiesta dal Tribunale fallimentare di Firenze gli ammanchi erano iniziati nel maggio 2017 e il rigiro di denaro attraverso prelievi multipli da paret degli utenti e lo spostamento in un unico wallet che rendeva indistinguibili le posizioni dei singoli ha dato vita agli ammanchi. Che si tratti di una vera e propria truffa lo potrà decidere il tribunale, ma intanto per Bitgrail è stato dichiarato il fallimento. Una storia italiana, che ho sintetizzato insieme a Stefano Capaccioli sul Sole 24 Ore, all’insegna dell’opacità e al limite della truffa che dice motlo del mondo delle criptovalute, alle prese con i postumi dell’ubriacatura finanziaria del 2017.
Meglio, quindi, sgombrare lo scenario del criptomondo da personaggi poco trasparenti che mettono a rischio le prospettiva di un esperimento che potrebbe dire molto per il futuro. Anche con MtGox era stato così…