L’ok della Sec all’Etf su bitcoin: una vittoria di Wall Street o delle cripto?

Quindici anni fa nasceva il bitcoin. Era uno strumento limitato a una sparuta comunità di anarco-libertari che voleva lanciare il guanto di sfida al sistema finanziario globale. La prima criptovaluta era stata ideata proprio per rimettere il potere transazionale nelle mani delle persone, in contrapposizione a una finanza sempre più ingegnerizzata e lontana dalle esigenze delle persone.
Non è un caso che il misterioso Satoshi Nakamoto abbia inserito nel “genesis block”, il primo blocco della blockchain di Bitcoin che ha visto la luce il 3 gennaio 2009, un riferimento esplicito a un nuovo salvataggio di banche inglesi. Non erano passati neanche quattro mesi dal fragoroso crollo di Lehman Brothers, la banca di Wall Street che aveva chiuso i battenti aprendo la porta a quello che sembrava la catarsi finale del sistema finanziario globale come lo avevamo conosciuto fino ad allora.
Il “sistema di moneta elettronica peer-to-peer” prefigurato nel white paper di tre mesi prima non era solo una modalità alternativa di transazione economica, ma si proponeva come base per un sistema economico alternativo, basato su uno scambio di valore diretto online. Un sistema trasparente, sicuro e distribuito che anticipava una completa disintermediazione delle operazioni finanziarie. Il bitcoin si proponeva come moneta (ma è davvero una moneta? è legittimo avere molti dubbi…) non emessa da alcuna Banca centrale e non espressione di un’economia, ma valida per qualsiasi tipo di transazione tra singoli, in maniera istantanea, senza rischio di double spending. Ma dietro questo c’era la proposta di un sistema che potesse fare a meno di tutti i soggetti intermediari necessari per qualsiasi transazione, anche quelle elettroniche a cui siamo abituati oggi. Il che implicava, nelle intenzioni di Satoshi, fare a meno dell’intero sistema bancario e dei servizi finanziari in generale. Insomma, una rivoluzione “vera”. E una sfida aperta per il sistema tradizionale!
Oggi, quindici anni dopo, arriva un’altra pietra miliare per il mondo di bitcoin e per gli asset digitali. La decisione della Sec di dare il via libera a tutti gli undici Etf spot su bitcoin segna una scelta che non è difficile definire storica per il settore dei cryptoasset, in termini di mercato e di regolamentazione. Non possiamo dimenticare che la prima richiesta di Etf è del 2013, quella dei gemelli Winklevoss, i fratelloni reduci dalla battaglia legale con Zuckerberg su Facebook. Allora fu snobbata dalla Sec slla base della convinzione che bitcoin fosse strumento oggetto di frode e di manipolazione. A quei tempi un bitcoin valeva più o meno 90 dollari: per intenderci era passato in quattro anni da zero a 90. Ma erano in pochi a credere in una sfida così ambiziosa.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Frodi e truffe si sono susseguite, i personaggi iconici degli inizi, dal Cz di Binance a Sbf di Ftx, si sono bruciati da soli (o sono stati indotti in facili tentazioni), le criptovalute si sono moltiplicate promettendo guadagni troppo facili (e perdite altrettanto repentine). Ma intanto bitcoin è arrivato a toccare prima un picco di 20mila dollari per poi crollare e riprendersi fino ad arrivare a oltre 60mila dollari, per cadere a poco più di un terzo. Oggi veleggia sui 46mila. Difficile trovare un asset finanziario con una performance del genere su piazza. Certo, con tutti i rischi connessi!

Tutto questo ha aumentato la domanda di criptoasset a dismisura spingendo colossi dell’investimento del calibro di BlackRock, Fidelity Investments e Franklin Templeton a chiedere a gran voce di poter prendere parte a questo mercato che si era ormai imposto dal basso, su richiesta degli investitori stessi, per lo più ad alto reddito. Ora l’introduzione dell’Etf permette di allargare il mercato ad altre tipologie di investitori, anche attraverso l’estensione a istituzioni finora decisamente restie. Difficile dire oggi quale sarà l’effetto di tutto questo. Ma l’istinto punta al rialzo.

Solo BlackRock potrebbe mettere in campo acquisti per due miliardi di dollari, ma alcune stime indicano in una somma potenziale complessiva di quasi 40 miliardi, anche se non tutta d’un colpo. E quando l’aumento della domanda si incrocia con un’offerta fissa come quella di bitcoin (non oltre i 21 milioni di unità) il prezzo può andare solo in una direzione. Almeno in teoria! In ogni caso, ricordiamo una volta di più che si tratta di investimenti ad alto rischio di cui bisogna capire bene la natura e che è meglio contenere a una quota davvero minima del proprio patrimonio, per non andare incontro a sgradite sorprese.
Ora la decisione della Sec mette un cappello istituzionale a un mercato che finora era al di fuori di qualsiasi vincolo normativo e, si spera, potrà anche stabilizzare le quotazioni del mercato, aumentando la liquidità e la solvibilità.
A questo punto rimane però da chiedersi cosa rimanga della sfida di Bitcoin, con la B maiuscola, inteso come tecnologia che garantisce il sistema transazionale tra pari, senza intermediari. In realtà il via libera agli Etf spot su bitcoin, con la b minuscola come valuta che fa funzionare quello stesso sistema, sembra definirne l’ingresso sulla base delle norme e degli stili imposti dalla finanza tradizionale. E non potrebbe essere altrimenti se si parla di uno strumento di investimento, che quindi deve sottostare alle regole a tutela dei risparmiatori. Anzi forse è una decisione che arriva fin troppo tardi, dopo aver lasciato sul terreno tanti truffati che si erano fidati di un mercato non regolamentato.
Ma senza dubbio il debutto di bitcoin nel salotto buono della finanza globale sembra spuntarne le armi, come fosse stata quest’ultima “normalizzare” la rivoluzione promessa neutralizzandone le spinte di trasformazione. Certo era una sfida impari, ma da questo punto di vista Wall Street può dire di aver vinto la sua sfida portando il nuovo sistema all’interno delle sue regole e imponendo uno status di “oro digitale” a uno strumento che ambiva a rivoluzionarne i meccanismi.
Allo stesso tempo, però, Bitcoin, come tecnologia sottostante a un nuovo sistema, sembra non aver perso del tutto la sua sfida. Anzi, oggi più che mai la blockchain sembra pronta a sfidare quello stesso sistema globale da rifondare. La tokenizzazione degli strumenti finanziari tradizionali, che in Europa avanza sotto l’ombrello del Dlt Pilot Regime, sembra riuscire a fare breccia facendo leva sulla promessa di efficienza dettata dall’eliminazione dei passaggi intermedi e dall’automazione grazie agli smart contract: la finanza decentralizzata si propone come nuovo schema che si insinua nella finanza istituzionale.
Da questo punto di vista la blockchain come tecnologia sottostante ai cryptoasset offre una prospettiva diversa ai mercati finanziari globali, in termini di efficienza e riduzione dei costi, ma anche di apertura a nuovi strumenti oggi non liquidi. Di certo deve tornare a rispettare le regole della finanza tradizionale e rimane quindi aperto un tema di nuova intermediazione all’interno di un processo di disintermediazione. Ma la spinta all’innovazione non sembra fermarsi.
Alla fine nella sfida tra bitcoin e Wall Street a vincere sembra essere proprio il consumatore, l’investitore che potrà godere oggi di nuove asset class – a bitcoin si potrà aggiungere a breve anche ether – e, in prospettiva, di nuovi mercati a condizioni migliori.