Elon Musk ci ha abituato a dire tutto e il contrario di tutto. L’eclettico imprenditore-innovatore di Tesla, SpaceX e tanti altri business ci ha abituato a prese di posizioni senza dubbio originali e destinate a far discutere, anche perché non sempre coerenti tra loro. Così è stato pure per le criptovalute. Quando ha smentito se stesso affermando che Tesla non accetterà bitcoin per i pagamenti delle autovetture, rinnegando quanto affermato neanche due mesi prima quando aveva messo le ali alle quotazioni della criptovaluta aprendo le porta agli acquisti di Tesla con bitcoin, la cosa ha sorpreso ma non proprio del tutto.
Pochi giorni prima aveva bollato al “Saturday Night Live” la sua “creatura” nel mondo cripto, il dogecoin, come una “truffa” dopo averne esaltato le potenzialità per mesi soffiando sulle quotazioni. E poco dopo aveva annunciato che la sua missione sulla Luna sarà finanziata in parte proprio con la valuta nata per scherzo attorno a un meme che rappresentava un cane.
Il voltafaccia su bitcoin è stato motivato con l’alto livello di consumo di energia del sistema di mining, in gran parte da fonti fossili.Una giustificazione che appare credibile per un imprenditore che ha costruito il suo impero su un’automobile elettrica che punta da sempre a dare un’aura di sostenibilità a un settore come quello automobilistico tra i più sotto pressione per la riduzione delle emissioni.
Certo non si può dire che Musk non fosse consapevole già prima dell’alto contenuto energivoro di bitcoin. Negli ultimi tempi è montata l’ondata di critiche contro le criptovalute proprio su questo fronte e non c’è dubbio che lui stesso abbia realizzato l’aperta contraddizione che rischiava di rovinare l’immagine della sua azienda.
La sua Tesla ha però mantenuto il suo investimento in bitcoin: a febbraio aveva annunciato di aver dirottato sulla criptovaluta 1,5 miliardi di dollari della sua liquidità, quota in parte rivenduta nel primo trimestre con un congruo profitto. Ma d’altra parte era stato lo stesso Musk a pilotare le quotazioni. Il sospetto che si diverta a “giocare” con i prezzi di bitcoin tra dichiarazioni e tweet improvvisi è davvero concreto. D’altra parte il mercato delle criptovalute è poco regolamentato e annunci come questi possono fare balzare o crollare le quotazioni, senza che nessuno possa verificare potenziali reati di manipolazione del mercato. Proprio per questo l’invito è sempre quello di essere molto cauti nell’investire in criptovalute, strumento ad altissima volatilità e bassa regolamentazione.
Ma forse il messaggio di Musk è più profondo. Proprio l’altissima volatilità gli ha fatto realizzare che bitcoin non è proprio una valuta come le altre, uno strumento con cui poter acquistare e vendere automobili. Pur con tutte le precauzioni del caso, accettarlo come mezzo di pagamento non è proprio ideale per una società. Al limite può essere un veicolo di marketing per chi ha investito in bitcoin e ora vuole capitalizzare i guadagni senza passare dal fisco (anche se anche qui ci sono non pochi dubbi…). Ma non può certo diventare un mezzo di pagamento al pari degli altri.
Se bitcoin è davvero l'”oro digitale”, come molti sostengono, sappiamo che oggi non usiamo più l’oro per le transazioni. E quindi neanche il bitcoin può avere questa funzione: i dodici anni di storia della criptovaluta hanno forse chiarito che non è una valuta in senso tradizionale. Senz’altro ha una valenza innovativa di trasferimento di valore senza intermediazioni, come hanno dimostrato casi come il Venezuela e lo Zimbabwe dove è stato utilizzato per mettersi al riparo da sistemi bancari disastrati e dall’iperinflazione. Così come ha dimostrato di funzionare, al pari e più dell’oro, come riserva dio valore. E lo dimostra Tesla stessa con il suo investimento. Sempre che lo metta al riparo dalle polemiche sugli effetti delle dichiarazioni di Musk.