Banche-Facebook: un patto con il diavolo? Ma l’Europa parte avvantaggiata

JpMorgan ha già respinto l’offerta al mittente, mentre in Italia UniCredit ha approfittato della trimestale per comunicare di aver rotto i ponti per qualsiasi iniziativa di marketing con il social network. Ma Facebook stessa ha negato di aver chiesto alle grandi banche di condividere i dati dei loro clienti, se non per servizi di suoporto. Stando a quanto sostenuto dal Wall Street Journal, il social network starebbe insistendo con gli istituti di credito per ottenere i dati bancari dei propri utenti, soprattutto per quanto riguarda le transazioni delle carte di credito e i movimenti dei conti correnti.

Non ci sarebbe alcun intento promozionale, ma l’intenzione di offrire nuovi servizi per estendere il tempo di permanenza sul network da parte del miliardo e trecento milioni di utenti di Messenger. Non è un mistero che Facebook debba fare i conti con un preoccupante rallentamento della crescita e con una progressiva disaffezione degli utenti, che un paio di settimane fa si sono concretizzati in 120 miliardi di dollari di capitalizzazione di Borsa andati in fumo in una sola seduta. Ma non ci si può neanche nascondere che la crisi di fiducia nel social network che qualcuno prevedeva potesse diventare la nuova internet di domani nasce dall’affaire Cambridge Analytica, quando il mondo ha scoperto tutto di colpo che il social network globale sembrava non essere in grado di controllare il flusso dell’enorme massa di dati che raccoglie ogni giorno dall’attività dei propri utenti.

Evidente quindi che la prospettiva che Facebook possa mettere le mani e gli occhi direttamente nei conti correnti personali di milioni di correntisti in tutto il mondo che temono di vedere diffusi senza il loro consenso i propri dati patrimoniali. Come peraltro già successo per quelli più legati alla politica di 87 milioni di persone a favore di Cambridge Analytica. D’altra parte le banche temono di perdere il contatto con milioni di clienti, che potrebbero vedersi serviti più efficacemente dal social network, che conosce i loro gusti e le loro scelte e che potrebbe presentarsi con offerte tagliate su misura sulle loro esigenze.

È questa d’altra parte la sfida che deve affrontare l’intero comparto finanziario a livello globale, trovandosi a dover fare i conti con concorrenti nuovi, sia che si tratti del Big tech che di piccole e agili startup fintech, in gradi di avere rapporti più diretti e mirati con i singoli utenti. È per questo che il patto che Facebook avrebbe offerto alle grandi banche – usiamo il condizionale dal momento che Facebook stessa ha smentito di averlo fatto, almeno in termini coercitivi – ha senza dubbio un senso dal punto di vista strategico. Il social network chiede alle banche di fornire i dati, che troppo spesso queste ultime non sono ancora in grado di utilizzare al meglio, fornendo in cambio una massa critica di utenti per i loro servizi che oggi le banche non hanno a disposizione. Per di più arrivando a conoscerne in profondità profili e abitudini e a intercettarli proprio nel momento in cui stanno mettendo mano al portafoglio.

È altrettanto evidente che si tratta di un equilibrio delicato, tutto da trovare, tra interessi non sempre coincidenti e rischi concreti. In uno scenario che deve fare i conti con regole nuove, soprattutto in fatto di privacy. Su entrambi questi fronti l’Europa si trova ad avere un vantaggio competitivo grazie a un quadro normativo più certo e chiaro rispetto a Stati Uniti e Far East. Parliamo di Gdpr e Psd2. Da una parte la nuova direttiva i pagamenti apre la strada al nuovo scenario competitivo stabilendo che le banche sono obbligate a fornire i dati a terze parti se lo chiedono i loro clienti. Dall’altro lato le disposizioni sulla privacy partono dall’assunto che i dati sono proprietà personale e che quindi i singoli hanno tutti i diritti relativi alla loro protezione e alla loro cessione. Facebook ha quindi un campo di gioco definito in cui poter giocare le proprie carte. E magari potrebbe essere costretta a sua volta a fare i conti con nuove piattaforme di gestione dei dati personali, come sembra auspicare la stessa Gdpr.