Dopo un lungo periodo di tempo si torna a parlare di anatocismo. Tre tra le maggiori banche italiane sono finite nel mirino dell’Antitrust con il sospetto di aver continuato ad applicare la contestata pratica nonostante il divieto introdotto con la legge di stabilità del 2014.
Ma cosa si intende con questo termine, obiettivamente un po’ ostico? Come recita Wikipedia, l’anatocismo “nel linguaggio bancario è la produzione di interessi da altri interessi resi produttivi sebbene scaduti o non pagati, su un determinato capitale”. Insomma interessi su interessi: se io metto in banca i soldi questo mi dovrebbe fruttare un rendimento sulla base del tasso d’interesse concordato (oggi praticamente azzerato…) che periodicamente mi viene riconosciuto e che entra quindi a fare parte del capitale e a sua volta essere compreso nel conteggio degli interessi successivi.
Tutto sembra perfettamente logico, salvo se il conteggio viene fatto sulla base di periodi successivi. La prassi era stata contestata in passato quando le banche erano abituate a conteggiare con tempi diversi i tassi a debito e a credito del cliente: i tassi a debito sul conto corrente venivano calcolati su base trimestrali e quindi tolti dal conto corrente, e quindi dal capitale su cui venivano calcolati i tassi a credito del cliente, eseguiti su base annuale. Saranno differenze minime, ma quando le cifre in ballo sono ingenti e i tassi d’interesse più elevati di quelli attuali, per le banche era un profitto non indifferente proveniente solamente da un trucchetto contabile. Lò stesso meccanismo poteva essere attuato, al contrario, per quanto riguarda i mutui.
Il divieto è in vigore per le banche, salva esplicita autorizzazione “preventiva” del cliente. Il sospetto è che le tre banche in questione (Bnl, Intesa Sanpaolo e UniCredit) abbiano adottato “modalità aggressive per indurre i propri clienti consumatori a dare l’autorizzazione all’addebito”. A pensar male…