Tra ritardi nell’intervento e rigidità europee si gioca sul filo la partita per il salvataggio di Mps. Che diventa una questione sempre più contrastata e complessa, con tecnicismi tra i quali è difficile districarsi. Proviamo a fare ordine, partendo da un presupposto. Uno dei pilastri dell’Unione bancaria europea è il sistema di vigilanza, cioè di controllo della solidità delle banche, passato direttamente alla Banca centrale europea, la quale ha quindi voce in capitolo sulla vicenda Mps: è stata infatti l’organismo di vigilanza a richiedere che la banca ricapitalizzasse e risolvesse il nodo dei crediti deteriorati. Un altro pilastro è il cosiddetto bail-in, il sistema che impone i costi legati al salvataggio di una banca in carico ad azionisti, obbligazionisti subordinati e correntisti oltre i 100mila euro: non è più previsto l’intervento dello Stato, che in un passato anche recente ha permesso diversi salvataggi. L’entrata in vigore del bail-in è stata infatti accompagnata da molte polemiche perché l’Italia aveva ritardato operazioni di messa in sicurezza e di intervento diretto fino a quando non erano più concessi, mentre altri partner, tra cui anche la Germania, si sono mossi prima. Ora Roma si trova a doversi districare tra le norme per evitare questa soluzione, quella più onerosa per i risparmiatori.
La soluzione di mercato (Piano A)
A fine giugno gli stress test, l’esame periodico sulla solidità delle banche europee, indica Mps come la peggiore d’Europa, con tanto di richiesta di piano di riduzione dei crediti deteriorati in tre anni, progetto che viene effettivamente sottoposto alle autorità europee con anche l’aumento di capitale per ricostituire il capitale su livelli adeguati. La Bce approva, ma impone che il piano sia attuato entro il 31 dicembre. L’incertezza politica con le dimissioni del governo Renzi induce Roma a chiedere un rinvio della scadenza di una ventina di giorni, ma la Bce non fa concessioni. Prima di far ricorso all’aiuto governativo Mps tenta in extremis un’operazione di mercato per salvaguardare gli obbligazionisti subordinati, che aderiscono in massa: le obbligazioni possono essere tramutate in contante, a patto che questo sia investito nelle azioni di nuova emissioni per l’aumento di capitale. Ma all’appello mancano i grandi investitori che avrebbero dovuto garantire – almeno negli auspici – la metà dei 5 miliardi di aumento. Di fronte all’impossibilità di raccogliere i fondi necessari, la banca getta la spugna e chiede aiuto al Governo.
Intervento precauzionale temporaneo (Piano B)
Nonostante la crisi politica, il Governo si era già portato avanti per superare i veti europei sull’intervento pubblico. In effetti la normativa europea lascia qualche margine di flessibilità. La direttiva sul sistema bancario (Brrd) permette un intervento dello Stato nel caso straordinario di rischio di crisi sistemica, vale a dire nel caso in cui il fallimento di un istituto metta a rischio l’intero sistema bancario: l’intervento dovrà quindi avere carattere “precauzionale” e “temporaneo”, deve cioè limitarsi a fornire la liquidità sufficiente per garantire l’operatività, per il tempo strettamente necessario. Proprio per questo non si può parlare tecnicamente di “nazionalizzazione” di Mps, perché se è vero che il Tesoro ne rileva la maggioranza, non lo fa per motivi strategici ma solamente con un intervento limitato nella quantità e nel tempo.
In deroga al principio del bail-in, il nuovo intervento in favore della banca senese si basa sul principio della “condivisione dei costi” (il cosiddetto burden sharing, perché bisogna sempre utilizzare termini inglesi…): gli obbligazionisti subordinati subiranno la conversione forzata (non più volontaria, come nell’aumento privato) a prezzi basati su quelli di mercato, decisamente più bassi di quelli a cui erano state sottoscritte le obbligazioni emesse al tempo per finanziare l’acquisizione di Antonveneta. Per gli investitori istituzionali – i fondi, per intenderci – non sono previsti misure di rimborso, perché si tiene che siano stati in grado di fare oculatamente le loro scelte in fase di sottoscrizione. Misure di rimborso per minimizzare o azzerare le perdite sono invece previste per i 40mila investitori, sulla base del principio del misselling, secondo il quale avrebbero acquistato dei prodotti finanziari ad alto rischio senza avere il profilo di rischio adeguato. In altre parole sarebbero state raggirati o addirittura truffati dalla stessa banca.
Il braccio di ferro sull’entità
Sulla base di queste considerazioni Roma ha messo in campo un intervento da 5 miliardi di euro, come richiesto nel corso dell’estate da parte della Bce, operazione che sarebbe accompagnata, come già previsto, anche dal piano di riduzione e di cessione dei famigerati Npl, i crediti deteriorato o in sofferenza, che hanno raggiunto livelli insostenibili: oltre 45 miliardi i crediti deteriorati lordi, quasi 28 miliardi le sofferenze, i prestiti andati per la gran parte perduti in procedure fallimentari. E’ opportuno sottolineare come questi prestiti siano stati spesso concessi in maniera clientelare e senza le dovute garanzie e che ora dovranno essere coperte a spese del contribuente. Nella speranza però di rientrare nelle casse pubbliche visto che l’intervento non sarà di lungo periodo.
Ma le polemiche non si fermano qui. Perché alla vigilia di Natale la Bce alza l’asticella e richiede che l’intervento precauzionali arrivi a quasi 9 miliardi di euro (8,8 per l’esattezza). Sostanzialmente perché l’intervento dello Stato aggiunge incertezza sul piano industriale, ma la Banca centrale non entra nello specifico delle motivazioni. Fatto sta che lo Stato verserà 6-6,5 miliardi per una quota di Mps che arriverà attorno al 70%, mentre il restante 20-25% andrà agli obbligazionisti e i soci attuali saranno diluiti in pochi punti percentuali. La vicenda che ha portato alla definizione delle richieste della Bce è ricostruita da Marco Ferrando e Morya Longo. L’intervento governativo è comunque sufficiente a congelare la scadenza del 31 dicembre: oltre quella data, senza nessuna soluzione, sarebbe scattato inevitabilmente il bail-in (piano C). Invece ora parte una delicata trattativa sul filo Roma-Francoforte per fissare l’entità dell’intervento, insieme al piano industriale a partire dalla soluzione per ridurre i crediti deteriorati.
Intervento sistemico
L’intervento governativo ammonta nel complesso a 20 miliardi e potrebbe richiedere il via libero del Parlamento. La Costituzione impone infatti ora il pareggio di bilancio e richiede quindi il via libera a maggioranza assoluta per il “ricorso all’indebitamento”. Ma, per motivazioni tecniche, l’indebitamento potrebbe non essere toccato e quindi non richiedere il passaggio parlamentare. In ogni caso il pacchetto complessivo da 20 miliardi comprende anche altre misure tecniche – dalle garanzie sulla liquidità alle garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze – di cui potrebbero benficiare anche altre banche in difficoltà alle prese con un delicato piano di stabilizzazione e di riduzione delle solite sofferenze.