E’ vero che la sterlina a dicembre ha riguadagnato un po’ di terreno, ma il costo del pranzo di Natale degli inglesi rischia di essere salato. La causa? La Brexit, il voto con cui i sudditi della regina Elisabetta hanno scelto di lasciare l’Unione europea. La flessione della sterlina, conseguenza diretta dell’uscita di capitali dopo il voto e delle previsioni di continui disinvestimenti stranieri dalla Gran Bretagna – e quindi di un eccesso di offerta sulla valuta di Londra -, rischia infatti di far salire il costo delle specialità natalizie. In particolare del tradizionale pudding, che potrebbe lievitare di prezzo attorno al venti per cento.
Il dolce natalizio britannico è ricco infatti di uvette, mandorle e zucchero, tutti prodotti importati. E che quindi subiscono un rincaro quando la sterlina si indebolisce: quello che succede quando si svaluta una valuta è che i prodotti importati dall’estero aumentano banalmente perché le perdita di valore comporta una maggior quantità di valuta per comprare la stessa quantità di beni. E’ quello che succede con l’uvetta, il cui raccolto quest’anno è stato abbondante e che quindi è rimasta sostanzialmente invariata come prezzi, se non anche scesa. Ma la scivolata della sterlina, pur ridotta nell’ultimo periodo a poco meno del 15% rispetto ai valori pre-Brexit, ha provocato comunque un aumento dei listini per il mercato inglese. Così anche per lo zucchero. Ci si è messa anche la diminuzione della produzione di latte inglese a far aumentare il burro. Il risultato è che il costo del pudding rischia di crescere di circa un quinto.
Per fortuna invece il tacchino, dopo il balzo dell’anno scorso sulla scorta dei timori per l’influenza aviaria negli Usa, quest’anno si è dato una calmata ed è rimasto stabile, mentre il maiale è cresciuto a causa di un aumento della domanda cinese. In questo caso l’effetto della svalutazione della sterlina è stato contrario: i prezzi dei prodotti esportati diventano più convenienti. Lo sanno bene le aziende italiane che per anni hanno recuperato competitività sui mercati internazionali grazie alle periodiche svalutazioni della lira che permetteva di abbassare i listini dei prodotti esportati. Gioco che adesso non è più possibile con l’ingresso nell’euro che si muove indipendentemente dai desideri degli esportatori italiani.
Con gli effetti nel piatto della svalutazione della sterlina gli inglesi hanno già imparato a conviverci. A ottobre era nata una piccola guerra commerciale quando Tesco, il colosso inglese della grande distribuzione, non aveva accettato l’aumento del 10% dei listini imposto da Unilever, multinazionale anglo-olandese del largo consumo: a farne le spese era stata in particolare Marmite, una crema dolciastra che a Londra è un po’ come la Nutella. Il rifiuto di Tesco aveva costretto Unilever a tornare sui suoi passi, ridimensionando la richiesta di aumento. I produttori svizzeri del Toblerone hanno invece aggirato l’ostacolo, trovando una soluzione più radicale dell’aumento del prezzo: per evitare scontri diretti hanno preferito fare una versione inglese del cioccolato svizzero dal peso ridotto, aumentando lo spazio tra un dente e l’altro della tavoletta.
In ogni caso il nuovo anno rischia di essere amaro per gli inglesi. Indipendentemente dai sotterfugi del Toblerone, il cioccolato potrebbe aumentare quasi del 40 per cento. Come anche il caffè, aumentato del 20% a livello internazionale, rialzo che potrebbe quasi raddoppiare in termini di sterlina. Sempre che il nuovo anno non porti un recupero costante della valuta inglese, evitando brutte sorprese per i prodotti importati