La Banca centrale europea prosegue con il Quantitative easing nel tentativo di ridare fiato all’economia europea, che inizia a dare qualche, flebile, segnale di ripresa. Nella sua ultima riunione la Bce ha infatti deciso di allungare di nove mesi il programma di acquisto di titoli, che doveva finire a marzo 2017 e invece proseguirà fino a fine anno, pur riducendo l’importo degli acquisti da 80 a 60 miliardi di euro al mese.
A cosa serve il Quantitative easing? Letteralmente si tratta di “allentamento quantitativo”. In fatto di politica monetaria l’allentamento è la manovra con cui le Banche centrali puntano ad aiutare la ripresa aumentando la moneta in circolazione e favorendo la crescita. Gli strumenti convenzionali a disposizione sono l’emissione di nuova moneta e la riduzione dei tassi d’interesse, misure che rientrano tra le prerogative principali delle Banche. E’ quanto hanno fatto prima la Banca del Giappone, da tempo, e poi, dopo la crisi avviata nel 2008, la Federal Reserve americana e la Banca centrale europea. Con risultati concreti ben scarsi: i tassi arrivati ormai a zero, o in territorio negativo, non sono riusciti a ridare slancio all’economia. Anzi, l’economia europea, che appare quella più stagnante, è rimasta ancora per buona parte del 2016 in area di deflazione, cioè di riduzione dell’inflazione.
Dopo che le munizioni tradizionali hanno prodotto ben pochi effetti, le Banche centrali hanno messo mano agli strumenti non convenzionali, sempre nell’ottica di aumentare la moneta in circolazione favorendo la ripresa dell’attività economica. A questo serve l’azione delle Banche centrali quando battono moneta o riducono i tassi d’interesse: se i tassi sono bassi le imprese sono infatti incentivate a investire in innovazione e prodotti competititvi e le famiglie a consumare di più. Quello che è successo però, soprattutto in Europa, è che i tassi bassi facevano fatica a trasferirsi agli utenti finali dal momento che le banche erano già soffocate da prestiti che facevano fatica a recuperare. E quindi non riuscivano a fare ulteriori prestiti.
Ecco allora che le Banche centrali, ultima la Bce, hanno avviato azioni non convenzionali – un po’ dettati dall’impotenza – come quella del quantitative easing. Nel gennaio 2015 la Bce è partita con un piano di acquisti di titoli di stato e poi di obbligazioni societarie, con l’obiettivo di alleviare le banche da patrimoni di titoli congelati nei loro conti e di permettere agli istituti di tornare a far circolare il denaro nel sistema. A quasi due anni di distanza la manovra sembra iniziare ad avere qualche effetto riportando un po’ di fiducia nelle imprese e nelle persone. Ma non ancora sufficiente a sostenere una ripresa solida.
Così settimana scorso Mario Draghi, il presidente della Bce, ha annunciato che l’istituto continuerà per altri nove mesi, fino a fine 2017, l’acquisto di titoli, anche se a ritmi più contenuti: l’importo mensile scenderà da aprile da 80 a 60 miliardi di euro. Ma Draghi ha già messo le mani avanti: nessun tapering. La Bce cioè non ha intenzione di ridurre gradualmente gli acquisti, coma ha già fatto la Fed americana. La Bce – ha chiarito – resterà sui mercati a lungo con l’obiettivo di tenere bassi i tassi d’interesse. Fino a che l’economia non darà segnali più convincenti e l’inflazione non sarà tornata su livelli sostenibili.